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  • Posted by Matteo Ciofi
  • On Giugno 28, 2018
  • 0 Comments
  • Cardinali, Chiesa, Concistoro, Omelia, Papa Francesco, Vaticano

Alle ore 16 di oggi, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha tenuto un Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di 14 nuovi Cardinali, per l’imposizione della berretta, la consegna dell’anello e l’assegnazione del Titolo o Diaconia.

La celebrazione è iniziata con il saluto, l’orazione e la lettura di un passo del Vangelo secondo Marco (10, 32-45). Quindi il Papa ha pronunciato la sua omelia.

Il Santo Padre ha letto poi la formula di creazione e ha proclamato solennemente i nomi dei nuovi Cardinali, annunciandone l’Ordine presbiterale o diaconale. Il Rito è proseguito con la professione di fede dei nuovi Cardinali davanti al popolo di Dio e il giuramento di fedeltà e obbedienza a Papa Francesco e ai Suoi successori.

I nuovi Cardinali, secondo l’ordine di creazione, si sono inginocchiati dinanzi al Santo Padre che ha imposto loro lo zucchetto e la berretta cardinalizia, ha consegnato l’anello e ha assegnato a ciascuno una chiesa di Roma quale segno di partecipazione alla sollecitudine pastorale del Papa nell’Urbe.

Dopo la consegna della Bolla di creazione cardinalizia e di assegnazione del Titolo o della Diaconia, il Santo Padre Francesco ha scambiato con ciascun neo Cardinale l’abbraccio di pace.

Riportiamo di seguito il testo dell’Omelia che il Santo Padre Francesco ha pronunciato nel corso del Concistoro:

Omelia del Santo Padre

«Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti[1] a loro» (Mc 10,32).

L’inizio di questo paradigmatico passo di Marco ci aiuta sempre a vedere come il Signore si prende cura del suo popolo con una pedagogia impareggiabile. In cammino verso Gerusalemme, Gesù non trascura di precedere (primerear) i suoi.

Gerusalemme rappresenta l’ora delle grandi determinazioni e decisioni. Tutti sappiamo che, nella vita, i momenti importanti e cruciali lasciano parlare il cuore e mostrano le intenzioni e le tensioni che ci abitano. Tali incroci dell’esistenza ci interpellano e fanno emergere domande e desideri non sempre trasparenti del cuore umano. E’ quello che rivela, con grande semplicità e realismo, il brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato. A fronte del terzo e più duro annuncio della passione, l’Evangelista non teme di svelare certi segreti del cuore dei discepoli: ricerca dei primi posti, gelosie, invidie, intrighi, aggiustamenti e accordi; una logica che non solo logora e corrode da dentro i rapporti tra loro, ma che inoltre li chiude e li avvolge in discussioni inutili e di poco conto. Gesù però non si ferma su questo, ma va avanti, li precede (primerea) e con forza dice loro: «Tra voi non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore» (Mc 10,43). Con tale atteggiamento, il Signore cerca di ricentrare lo sguardo e il cuore dei suoi discepoli, non permettendo che le discussioni sterili e autoreferenziali trovino spazio in seno alla comunità. A che serve guadagnare il mondo intero se si è corrosi all’interno? A che serve guadagnare il mondo intero se si vive tutti presi da intrighi asfissianti che inaridiscono e rendono sterile il cuore e la missione? In questa situazione – come qualcuno ha osservato – si potrebbero già intravedere gli intrighi di palazzo, anche nelle curie ecclesiastiche.

«Tra voi però non è così»: risposta del Signore che, prima di tutto, è un invito e una scommessa per recuperare il meglio che c’è nei discepoli e così non lasciarsi rovinare e imprigionare da logiche mondane che distolgono lo sguardo da ciò che è importante. «Tra voi non è così»: è la voce del Signore che salva la comunità dal guardare troppo sé stessa invece di rivolgere lo sguardo, le risorse, le aspettative e il cuore a ciò che conta: la missione.

E così Gesù ci insegna che la conversione, la trasformazione del cuore e la riforma della Chiesa è e sarà sempre in chiave missionaria, perché presuppone che si cessi di vedere e curare i propri interessi per guardare e curare gli interessi del Padre. La conversione dai nostri peccati, dai nostri egoismi non è e non sarà mai fine a sé stessa, ma mira principalmente a crescere in fedeltà e disponibilità per abbracciare la missione. E questo in modo tale che, nell’ora della verità, specialmente nei momenti difficili dei nostri fratelli, siamo ben disposti e disponibili ad accompagnare e accogliere tutti e ciascuno, e non ci trasformiamo in ottimi respingenti, o per ristrettezza di vedute[2] o, peggio ancora, perché stiamo discutendo e pensando tra di noi chi sarà il più importante. Quando ci dimentichiamo della missione, quando perdiamo di vista il volto concreto dei fratelli, la nostra vita si rinchiude nella ricerca dei propri interessi e delle proprie sicurezze. E così cominciano a crescere il risentimento, la tristezza e il disgusto. A poco a poco viene meno lo spazio per gli altri, per la comunità ecclesiale, per i poveri, per ascoltare la voce del Signore. Così si perde la gioia e il cuore finisce per inaridirsi (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 2).

«Tra voi però non è così; – ci dice il Signore – […] chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10,43.44). È la beatitudine e il magnificat che ogni giorno siamo chiamati a intonare. È l’invito che il Signore ci fa perché non dimentichiamo che l’autorità nella Chiesa cresce con questa capacità di promuovere la dignità dell’altro, di ungere l’altro, per guarire le sue ferite e la sua speranza tante volte offesa. È ricordare che siamo qui perché siamo inviati a «portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19).

Cari fratelli Cardinali e neo-Cardinali! Mentre siamo sulla strada verso Gerusalemme, il Signore cammina davanti a noi per ricordarci ancora una volta che l’unica autorità credibile è quella che nasce dal mettersi ai piedi degli altri per servire Cristo. È quella che viene dal non dimenticare che Gesù, prima di chinare il capo sulla croce, non ha avuto paura di chinarsi davanti ai discepoli e lavare loro i piedi. Questa è la più alta onorificenza che possiamo ottenere, la maggiore promozione che ci possa essere conferita: servire Cristo nel popolo fedele di Dio, nell’affamato, nel dimenticato, nel carcerato, nel malato, nel tossicodipendente, nell’abbandonato, in persone concrete con le loro storie e speranze, con le loro attese e delusioni, con le loro sofferenze e ferite. Solo così l’autorità del pastore avrà il sapore del Vangelo e non sarà «come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita» (1 Cor 13,1). Nessuno di noi deve sentirsi “superiore” ad alcuno. Nessuno di noi deve guardare gli altri dall’alto in basso. Possiamo guardare così una persona solo quando la aiutiamo ad alzarsi.

Vorrei ricordare con voi una parte del testamento spirituale di San Giovanni XXIII, che avanzando nel cammino ha potuto dire: «Nato povero, ma da onorata ed umile gente, sono particolarmente lieto di morire povero, avendo distribuito secondo le varie esigenze e circostanze della mia vita semplice e modesta, a servizio dei poveri e della Santa Chiesa che mi ha nutrito, quanto mi venne fra mano — in misura assai limitata del resto — durante gli anni del mio sacerdozio e del mio episcopato. Apparenze di agiatezza velarono, sovente, nascoste spine di affliggente povertà e mi impedirono di dare sempre con la larghezza che avrei voluto. Ringrazio Iddio di questa grazia della povertà di cui feci voto nella mia giovinezza, povertà di spirito, come Prete del S. Cuore, e povertà reale; e che mi sorresse a non chiedere mai nulla, né posti, né danari, né favori, mai, né per me, né per i miei parenti o amici» (29 giugno 1954).

 

Bollettino Sala Stampa della Santa Sede



 
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