
- Posted by Matteo Ciofi
- On Giugno 1, 2017
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- Chiesa, Comunicazione, Discorso, Inaugurazione, Padre Federico Lombardi, Salt and Light TV, Vaticano
Riportiamo qui di seguito il discorso di Padre Federico Lombardi S.J. letto in occasione dell’inaugurazione dei nuovi uffici di Salt and Light TV
Cerimonia di inaugurazione per i nuovi uffici di Sale e Luce TV
Toronto – 25 maggio 2017
Vostre Eminenze, i cardinali Collins, Lacroix e Wuerl,
Vice Cavaliere Supremo dei Cavalieri di Colombo Patrick Kelly,
Amici giornalisti,
Ospiti illustri,
Gentile staff, Membri del Consiglio e Amici di Salt e Light Catholic Media Foundation,
Come comunicare, perché comunicare, che cosa comunicare ?
Unum, Verum, Bonum et Pulchrum – Unità, Verità, Bontà e Bellezza
Sono molto emozionato e grato per essere stato invitato a partecipare a questo evento, che segna una nuova tappa importantissima nella bella storia di Salt & Light TV. E’ una storia che ho potuto accompagnare con grande amicizia e simpatia fin dalle sue prime origini, nel contesto dell’indimenticabile Giornata Mondiale della Gioventù di Toronto nel 2002, e poi nella sua meravigliosa crescita con splendidi frutti per la comunità della Chiesa. Come posso testimoniare personalmente, questi frutti non riguardano solo il Canada e il Nord America, ma ormai anche la Chiesa universale, presente nei diversi continenti. Il servizio svolto da Salt & Light TV in occasione dei Sinodi dei Vescovi più recenti è stato – ad esempio – un grande contributo, condiviso in spirito di collaborazione con moltissimi altri media e siti, e così i lavori e i messaggi dei Sinodi hanno potuto essere più facilmente seguiti e compresi in innumerevoli luoghi del mondo.
Che cosa posso dirvi di utile per parte mia questa sera, come vecchio lavoratore della vigna del Signore nel campo della comunicazione al servizio dei Papi, e come amico che partecipa con gioia all’aprirsi di una nuova tappa del vostro servizio pieno di entusiasmo al Vangelo, sale e luce del mondo ?
Ciò che mi sembra più naturale è di raccontarvi alcune delle lezioni che credo di avere imparato dai tre Papi che ho servito, e poi – ispirandomi a queste lezioni – proporvi alcuni messaggi molto semplici per il vostro lavoro futuro.
Come comunicare ? Le lezioni di tre Papi
Giovanni Paolo II
Giovanni Paolo II mi ha sempre impressionato per la sua “autenticità”. Egli era sempre “se stesso”. Fin dalla sua prima indimenticabile omelia di inaugurazione del pontificato ci ha ripetuto le parole: “Non abbiate paura”. Diceva al mondo che non doveva aver paura di aprire le porte a Cristo, ma allo stesso tempo diceva a tutti noi che non dovevamo aver paura di testimoniare la nostra fede. Ed egli ne era il primo esempio. Non aveva paura di dire quello in cui credeva, quello che pensava. Non aveva paura di manifestare se stesso, i suoi sentimenti e le sue idee, le sue convinzioni e infine anche le sue condizioni fisiche. Quando doveva dire “no” alla guerra durante l’Angelus batteva con forza il pugno sul davanzale della finestra, quando intimava ai mafiosi di convertirsi o quando ammoniva il suo popolo polacco di fare un migliore uso delle libertà recuperata, lo faceva gridando, pieno di santa ira… Quando visitò in carcere l’attentatore Ali Agca per portargli il suo perdono, non ebbe paura di mostrare il loro incontro davanti alla telecamera.
Io ero perplesso, data l’intimità spirituale di quel momento, ma quando ho capito che così il Papa ci lasciava la più forte immagine di perdono che avremmo mai visto nella nostra vita – e forse nel nostro secolo! – ho capito che aveva ragione lui a lasciarsi vedere… E poi… gli anni della sua malattia, della sua sofferenza vissuta nella pazienza e nella fede, non solo davanti a Dio ma davanti al mondo. In quegli anni ero il Direttore del Centro Televisivo Vaticano e posso assicurarvi che seguire con la telecamera il Papa malato, e malato di una malattia dolorosa e visibile come il Parkinson, era una grande responsabilità, era difficile e impegnativo… Come e fino a quando far vedere il suo volto?… Quando ritirare e distogliere lo sguardo per rispetto e discrezione?… Ma Giovanni Paolo II voleva essere visto, e si affidava a noi per il modo in cui comunicare al mondo la sua sofferenza nella fede.
Mi sono interrogato molto a lungo su qual’era l’origine di questa sua scelta. Alla fine credo di aver trovato la risposta leggendo le sue meditazioni poetiche del “Trittico romano”, in cui contempla l’opera di Michelangelo nella Cappella Sistina e si concentra sulla creazione di Dio come una “visione”. Dio crea il mondo e conserva la sua creazione nell’essere “vedendola”, “vedendoci”. Dio è il “Primo vedente” e “omnia nuda et aperta sunt ante oculos eius- tutte le cose sono nude e aperte davanti ai suoi occhi” (Ebr. 4,13). Per Giovanni Paolo II era chiaro ed evidente che tutta la sua esistenza si svolgeva nuda ed aperta sotto gli occhi di Dio. E allora, come aver paura dello sguardo degli uomini? Se vivo sotto gli occhi del Primo vedente, posso vivere senza alcuna paura e senza nascondermi in alcun modo anche sotto gli occhi degli uomini. Questo era il segreto del coraggio e dell’autenticità di Giovanni Paolo II. E perciò era un comunicatore assolutamente credibile ed autorevole.
Un’altra lezione. Papa Wojtyla aveva fiducia nei media e negli operatori dei media. In certo senso era ottimista nei loro confronti. Questo mi ha sempre colpito molto perché io invece sono un po’ pessimista: vedo quanti danni fanno la televisione e adesso la rete, quanto male passa attraverso di esse, e questo mi impressiona e qualche volta mi scoraggia. Giovanni Paolo II aveva un atteggiamento diverso. Lo dimostrò fin dall’inizio del pontificato incontrando familiarmente i giornalisti nei voli dei viaggi internazionali. Probabilmente, venendo da un paese dove non c’era democrazia, capiva che la libertà di stampa era un aspetto essenziale della vita nella libertà, e che se i giornalisti avessero capito i suoi messaggi avrebbero potuto essere dei formidabili alleati della sua missione. Infatti, dopo ogni viaggio internazionale volle sempre riunire in un pranzo di lavoro i suoi collaboratori nella comunicazione – i Direttori della Sala Stampa, dell’Osservatore Romano, della Radio Vaticana e il Monsignore della Segreteria di Stato incaricato di seguire la stampa – per ragionare con loro su “come era andato” il viaggio dal punto di vista della comunicazione: che cosa era stato capito e quali messaggi erano “passati” alla gente e quali no, e così via. I viaggi furono 104!
Questo incontro lo fece dal primo all’ultimo: alla fine era già malato ma volle continuare a farlo! Giovanni Paolo II sapeva bene che cosa voleva dire, e non cambiava certo idea per avere il favore dei media, ma non era la stessa cosa se la gente capiva o no il suo messaggio. Per questo voleva informarsi e riflettere sulla comunicazione. La riteneva importante. Ma in fondo la cosa che mi colpì più di tutte fu quella che definirei la sua “visione profetica” sulle possibilità positive dei media. Una volta, mentre era in corso un incontro del Papa con gli studenti universitari nell’Aula Paolo VI, io e i miei colleghi del Centro Televisivo Vaticano gestivamo una serie di difficili collegamenti televisivi satellitari bidirezionali, grazie a cui altri studenti riuniti in diversi Paesi, a Cracovia, a Mosca o in Spagna, potevano vedere il Papa e intervenire parlando con lui. Io ero preoccupatissimo e tutto sudato nel pullman regia perché tutto funzionasse. A un certo punto sento il Papa che esclama: “Questa televisione è un’istituzione stupenda! Adesso trovandomi qui a Roma vedo i miei studenti a Cracovia che hanno un nuovo cardinale che si vede anche lui in televisione, e così tutti e due possiamo dire: ecco un’istituzione benedetta, questa televisione! E i giovani di Cracovia attraverso la televisione applaudono anche loro!”. “Benedetta televisione!”. Io mi sentii sobbalzare il cuore. Giovanni Paolo II vedeva le possibilità positive e bellissime di nuove esperienze di incontro e di allargamento delle relazioni ecclesiali e umane aperte dalle nuove tecnologie. Erano prime esperienze di interattività. Certo egli non era un ingenuo, sapeva bene che c’erano rischi e mali nella televisione, ma vedeva anzitutto il positivo e ci aiutava – mi aiutava – a vedere il positivo per farlo prevalere sul negativo, per aprire nuove strade alla comunicazione dell’amore e del bene. Per questo era un profeta! “Benedetta televisione!”, vorrei ripeterlo anche oggi ancora una volta, con la convinzione profetica di Giovanni Paolo II per tutti voi, soprattutto per i giovani che lavorano con entusiasmo a Salta nd Light TV non con la ingenuità di chi si lascia affascinare da ogni novità tecnologica, ma con il fuoco di una missione positiva da realizzare.
Benedetto XVI
Benedetto XVI. Chi ha avuto una capacità di esprimersi con ordine, chiarezza, capacità di sintesi, profondità e finezza, paragonabile alla sua? Vi racconterò un piccolo episodio che non posso dimenticare. Alla vigilia del suo ultimo viaggio in Germania, la televisione tedesca aveva chiesto a Benedetto di mandare un breve messaggio per la rubrica “Wort zum Sonntag – Una Parola per la Domenica”, in onda al Sabato sera per la durata di tre minuti esatti. Il Papa accettò e per registrare andai a Castelgandolfo con la troupe del Centro Televisivo (perché eravamo in settembre). Ci preparammo e quando il Papa arrivò, senza avere nulla di scritto in mano, gli dissi che se ci fosse stato qualche errore o inconveniente poteva tranquillamente interrompere o ripetere, perché per noi era facile correggere, fare editing, montare. Egli mi ringraziò e mi disse solo di indicargli quando doveva cominciare. Gli feci cenno con la mano ed egli parlò – naturalmente in perfetto tedesco – in modo assolutamente chiaro e lineare, senza la minima incertezza, senza un’interruzione, guardando la telecamera, e a un certo punti finì. Io guardai l’orologio: 2 minuti e 55 secondi! Noi eravamo sbalorditi.
Il Papa ci chiese se doveva fare altro. Gli dicemmo di no, perché era stato perfetto. Ci salutò con la gentilezza di sempre e si congedò. Questo era Benedetto: sapeva bene che cosa voleva dire e lo diceva bene, con ordine e chiarezza. In pochissimi minuti diceva pensieri e concetti molto profondi. Durante le grandi Veglie delle Giornate Mondiali della Gioventù – Colonia, Sydney, Madrid – i giovani non lo interrompevano spesso con grida e applausi di risposta alle sue parole, perché capivano che era meglio seguire il filo del suo discorso per non perderne il senso e la profondità.
Ma l’esperienza che ho vissuto con più profondità con Benedetto è stata quella dell’impegno per crescere nella verità e nella trasparenza. E ho capito che questo ha un prezzo, che può essere di grande sofferenza.
Tutti sappiamo che una delle grandi “croci” del pontificato di Benedetto – io penso la più grande – è stata la vicenda degli abusi sessuali nella Chiesa. Egli l’ha portata su di sé con grande umiltà, pazienza e costanza, facendo personalmente tutti i passi necessari di un lungo cammino, che andava dal riconoscimento della gravità delle colpe nella Chiesa, all’ascolto personale del dolore delle vittime, allo stabilire le norme e le procedure per fare giustizia, al punire i colpevoli, alla purificazione e conversione interiore, al provvedere i criteri per la buona selezione e formazione dei seminaristi, alla diffusione di una vera cultura di prevenzione dei crimini e di protezione dei minori… Bisognava riconoscere la verità anche se è estremamente dolorosa, convertirsi in profondità, nella verità davanti a Dio e agli uomini. Non preoccuparsi anzitutto della “immagine”, nel senso del “fare bella figura”. Certo, dobbiamo desiderare che la nostra immagine sia buona, ma solo se essa corrisponde a una realtà buona. Se no è un inganno. E abbiamo visto quali sono state le conseguenze tragiche di una cultura del “cover up”, fondata appunto sul primato della “buona figura” esteriore. Qualcuno ha cercato di accusare Benedetto di essere compromesso con la copertura dei delitti. Ciò è assolutamente e incredibilmente falso. Al contrario egli ha un merito “storico” davanti alla Chiesa e al mondo nel campo della lotta contro gli abusi sessuali. Benedetto, che come pensatore e teologo ha sempre insistito sul primato della verità e della ricerca della verità, è stato anche nella sua vita e nel suo comportamento da Papa un grande testimone della trasparenza della verità, con umiltà e sofferenza personale.
Francesco
E infine veniamo a Francesco. Francesco è più vicino nel tempo ed è molto frequentemente sotto i vostri occhi. E’ difficile dire cose che non abbiate già visto o sentito. Ma vale la pena ugualmente metterne in rilievo qualcuna, che ho trovato molto istruttiva anche per me sul modo di comunicare. Anzitutto la prossimità, cioè aver eliminato ogni forma di lontananza e di barriera, ed essere diventato più vicino alla gente: lasciando l’appartamento nel Palazzo Apostolico e abitando con gli altri a Santa Marta, lasciando la papamobile blindata e usando sempre un’auto scoperta o comunque ordinaria… Scelte che parlano da sole e sono in continuità con gli abbracci affettuosi con i malati, con i piccoli, i poveri di ogni genere.
Poi l’atteggiamento spontaneo di ascolto e di dialogo. Anche per le conversazioni in aereo generalmente Francesco vuole che i giornalisti facciano tutte le domande che vogliono; non chiede e non cerca di prevederle prima per prepararsi. Vuole che le sue risposte siano spontanee anche a costo di non essere perfettamente esaurienti o completissime: perché nel dialogo si cammina verso la verità insieme passo dopo passo, ascoltandosi vicendevolmente. Non ogni risposta può dire l’ultima parola, ma dialogando ci si può avvicinare insieme a una verità più larga e più profonda. Da questa vicinanza e da questo ascolto viene anche il linguaggio concreto e comprensibile, tratto dalle esperienze della vita della gente.
Francesco lo raccomanda anche ai preti per le omelie nella messa: dice che il loro linguaggio sarà comprensibile al popolo se vivranno inseriti nel popolo ascoltando le sue domande, la sua cultura, anche la sua saggezza. Evidentemente Francesco cerca l’incontro con l’altro. Ci parla continuamente della “cultura dell’incontro” e ci fa capire che non basta comunicare concetti, ma bisogna comunicare se stessi, mettersi in gioco perché l’altro capisca che gli offriamo un pezzo vero della nostra vita, della nostra persona intera, e si senta così anche lui invitato a condividere con fiducia ciò che ha di più profondo e prezioso, in modo da costruire insieme l’avvenire.
Perciò in Francesco le parole vanno insieme ai gesti. Il corpo esprime il cuore e la mente. Parole e azioni si completano e si spiegano vicendevolmente. Del resto, ciò valeva già per Gesù, che ci parlava di Dio con il suo insegnamento e con i suoi “segni”: le guarigioni, il perdono, la condivisione e la moltiplicazione dei pani e dei pesci. I gesti di Francesco, in particolare quelli di misericordia per i poveri e i sofferenti, sono così efficaci e parlanti da supplire largamente alla limitazione nella conoscenza delle lingue, che è minore rispetto ai suoi predecessori, ma compensata da un’efficacia di espressione fisica e gestuale che apre i cuori e attira l’attenzione anche dei popoli di culture lontane dalla sua, come quelle asiatiche o africane.
Infine, Francesco ci invita a dare chiaramente il primato a ciò che è positivo, all’amore, alla misericordia.
Il messaggio della misericordia di Dio non è nuovo. Tutti i Papi ne hanno parlato, e molto; e anche noi abbiamo sempre cercato di parlarne. Però è vero che l’insistenza di Francesco sulla misericordia di Dio, sul perdono, sulla sua accoglienza per tutti, sui gesti e le opere concrete di misericordia e solidarietà… e l’esempio che ci ha dato compiendo lui stesso queste opere, ha attirato e messo in moto un’onda molto larga e spontanea di gratitudine, come se tutto ciò rispondesse a un’attesa profonda. Molti di noi hanno avuto l’impressione che un atteggiamento diffuso di prevenzione contraria alla Chiesa, che la vedeva come la “Chiesa dei no”, dei precetti negativi, chiusa su se stessa e pronta a condannare… un atteggiamento che abbiamo sperimentato spesso con dolore, si sia attenuato o sciolto in seguito alla ripetuta proposta di un messaggio di amore, di perdono e di consolazione, presentato con parole semplici e concrete, e tradotto in gesti spontanei di significato evidente.
Comunicare: perché ? Comunicare: che cosa ?
Dopo aver ricordato con emozione i “miei” Papi come impareggiabili maestri di comunicazione, vorrei fare con voi ancora qualche riflessione riassuntiva sul senso più profondo, sul fine della vostra, nostra missione di comunicatori.
Comunicare per l’unione. Come abbiamo ricordato prima: si può comunicare per stabilire un dialogo per arrivare all’incontro e in questo modo per costruire insieme comunione nella Chiesa, nella società, nella famiglia dei popoli. Questo può sembrare scontato, ma non lo è; non è affatto banale. Perché si può anche comunicare per dividere, per offendere, per diffondere l’odio, per prevalere sull’altro. Anzi, a volte si teorizza che la comunicazione è più efficace, interessante e dinamica, proprio se è conflittuale, se vive di contrapposizioni e di lotte. Moltissime trasmissioni televisive, talk show, dibattiti, sono impostati a partire dall’esclusione programmatica dell’ascolto, della benevolenza nell’interpretare ciò che l’altro dice. Ma quale società potremo mai costruire insieme su queste basi? Il tono e il linguaggio aggressivo sono spesso considerati una dote. Io mi sono sempre opposto radicalmente a tutto questo, e ho sempre invitato i miei collaboratori ad assumere con decisione il motto: “Comunicare per unire, comunicazione per costruire comunione”. La propaganda di guerra ha sempre inculcato l’odio per condurre i popoli ad uccidersi, il genocidio del Rwuanda è stato sistematicamente incoraggiato dalla “Radio delle mille colline” seminatrice di odio. Finalmente ora si comincia a riconoscere quanto sia grave il rischio della diffusione dello hate speech nella Rete, e come la Rete possa essere utilizzata come via per catalizzare e canalizzare l’odio verso sempre nuovi obiettivi deleteri per la pace nella società e nel mondo. Quindi: comunicare per unire, sempre e solo per unire e mai per dividere. Nella nostra storia sperimentiamo sempre nuovamente le divisioni di Babele, ma dobbiamo lasciarci guidare dello Spirito della Pentecoste: da Babele a Pentecoste, dalla divisione e confusione alla comprensione e alla comunione universale.
Comunicare per la verità. Anche questo può sembrare un principio astratto, ma non lo è affatto. Abbiamo ricordato prima la tragedia di una cultura guidata dal principio del cover up e del primato di una immagine buona ma falsa di noi stessi e delle nostre comunità e istituzioni. Ma ci sono molti altri modi di violare la verità: anche quello di una verità parziale, che proprio perché non è completa o equilibrata conduce sulla strada sbagliata. Ciò avviene spesso per un disegno intenzionale e manipolatore, che nasce da interessi di persone o di gruppi, per il potere o per il vantaggio economico. La buona informazione è la base per vivere in modo responsabile nella società, esercitare la partecipazione democratica nella comunità. La cattiva informazione vuole strumentalizzare gli altri per i propri interessi, negando la loro libertà e dignità. Peggio ancora se vi è poi addirittura la diffusione delle falsità per ingannare. Oggi si parla sempre più frequentemente del problema delle falsità nella Rete, delle fake news, che si diffondono molto rapidamente, di cui non si identifica l’origine e che non si riescono a controllare e a contraddire. A volte diffondere notizie infondate poteva sembrare un gioco. Ma alla fine diventa un gioco tragico. E’ un problema molto grave, che mina il clima di fiducia che è necessario per la vita di una società sana, per un dialogo sereno alla ricerca delle soluzioni dei problemi comuni. La parola, la comunicazione è fatta per la verità, non per la falsità e l’inganno. Per noi comunicatori su questo punto non ci possono essere compromessi di alcun genere.
Comunicare per il bene, per la bontà. La presenza del male nel mondo è una realtà terribile, pervasiva e potentissima. La violenza dei conflitti armati, delle stragi, degli attentati omicidi, le forme di oppressione, di sfruttamento e traffico di persone, la corruzione che invade e corrompe le istituzioni e la vita politica ed economica in grandi regioni del mondo… arrivano continuamente fino a noi ed entrano nella nostra vita attraverso i media con notizie e immagini sempre più impressionanti. Anche se manifestiamo il nostro orrore e la nostra condanna, sentiamo sempre più frequentemente un senso di impotenza di fronte al male che genera in noi passività, scoraggiamento, alla fine diciamo pure disperazione.
Giustamente Papa Ratzinger ha detto più volte (ad es. nella Enciclica Spe salvi) che la potenza del male nel mondo è la prova più difficile per la nostra fede: Dov’è Dio? Dove la giustizia? Come sappiamo, generalmente le dinamiche della comunicazione portano a dare particolare evidenza e peso alle notizie più cattive, ai disastri, ai conflitti, agli scandali, e così l’oscurità del male diventa sempre più fitta e incombente sul nostro orizzonte quotidiano. Queste cose purtroppo sono vere, ma non sono tutta la verità. Nel mondo opera anche il bene. E’ più discreto del male, generalmente è meno evidente, ma c’è. Bisogna aprire gli occhi per vederlo, gli orecchi per imparare a sentirlo, e se siamo comunicatori dobbiamo anche aiutare gli altri a vederlo e sentirlo. Ricordiamo tutti che l’11 settembre non è stato solo l’attentato più impressionante e orribile dell’inizio del terzo millennio, ma è stato anche il giorno in cui decine, centinaia di pompieri e soccorritori hanno esposto e dato eroicamente la loro vita per salvare le vittime. Tantissimo odio, tantissimo amore.
Quando in Italia nei mesi recenti i terremoti hanno distrutto molti villaggi, come molte altre volte in passato vi è stato un grande movimento di solidarietà, spesso volontario e gratuito, che è durato per mesi. La sofferenza suscita e chiama amore, generoso, ricco di creatività, superiore alle attese: quante belle sorprese vediamo se apriamo gli occhi! E questo discorso vale per moltissimi problemi della nostra società. Durante il Grande Giubileo del 2000 nelle trasmissioni della Radio Vaticana avevamo iniziato una rubrica quotidiana intitolata “Da Gerusalemme a Gerico”, ispirandoci alla parabola del Samaritano, per raccontare ogni giorno un’esperienza concreta, un’iniziativa o un’istituzione di solidarietà, di carità… Ci eravamo detti: cominciamo, e quando fra qualche settimana avremo finito, cambieremo rubrica…
Andammo avanti per 365 giorni e la catena non finiva mai e il campo si allargava sempre: un’esperienza buona ne faceva scoprire un’altra all’infinito! Giustamente le associazioni dei giornalisti cattolici italiani organizzano sempre più frequentemente dei Premi di giornalismo intitolati: “Le buone notizie”, per promuovere la scoperta e la diffusione della conoscenza del bene. Così si risponde alla disperazione e allo scoraggiamento, si nutre la speranza e si incoraggia il gusto di impegnarsi per il bene. Parlare di pace, di giustizia, di riconciliazione, di perdono, di crescita umana e spirituale, di solidarietà, di carità, di gratuità, di tenerezza… sempre, il più possibile. Questo è stato il vero privilegio della mia vita: servire i Papi, che sono i più grandi messaggeri di tutto questo per l’umanità e parlano continuamente di queste cose. Che cosa si può fare di più bello che annunciare il bene per i nostri fratelli e sorelle? O che invitare i nostri colleghi comunicatori a unirsi a noi e partecipare alla missione di parlare di questo: dell’amore, del bene, per la pace, la gioia e la speranza del mondo?
Infine, comunicare per la bellezza. Intorno a noi non c’è solo il male violento e omicida. Ci sono anche molte forme più sottili e insidiose di inquinamento dello spirito. C’è una volgarità diffusa, nel linguaggio e nelle immagini, che ci entra negli occhi e corrompe il nostro sguardo. C’è un materialismo pesante, una curiosità morbosa che si intrattiene sulle perversioni e sugli scandali. E anche se cerchiamo di difenderci e di reagire ci sentiamo come invasi da questa sporcizia, in particolare attraverso le immagini e la pervasività della rete. Ci sembra sempre più difficile avere uno sguardo limpido e un cuore puro, anche se ne sentiamo la nostalgia. Francesco ha usato parole violente, che sento pudore a ripetere, ma credo che sia giusto ricordarle. Ha parlato di “coprofilia” e “coprofagia”, cioè della tendenza perversa a godere degli escrementi più immondi e di quella che porta addirittura a mangiarli… Ha ammonito i media e gli operatori dei media di resistere alla tentazione della coprofilia: cioè di cercare ed esibire continuamente le cose più brutte per attirare l’attenzione e per vendere; e ha ammonito tutti noi a fuggire dalla tentazione morbosa di godere e intrattenerci nella curiosità del perverso e del volgare nelle sue forme più varie. Non sto parlando di problemi teorici o astratti. Pornografia, esibizionismo, oggi sexting e sextortion… entrano sempre più profondamente nella vita quotidiana di innumerevoli persone, sempre più giovani. Quali immagini e quali pensieri abitano le nostre menti e abiteranno le loro durante tutta la loro vita?
Dobbiamo imparare ad alzare lo sguardo, aiutare ad alzare lo sguardo. Riuscire a cercare e amare la luce e a respirare spiritualmente. Quando parlo di comunicare il bello, comunicare per la bellezza, non penso affatto ad un godimento estetico fine a se stesso, a un lusso per privilegiati estetizzanti, ma penso al rispetto per la bellezza della dignità di ogni persona umana, al gusto per la preziosità e il mistero della sua interiorità, che si può intuire nei suoi occhi e nella profondità dei suoi sentimenti… Certo, può essere anche la comunicazione dell’arte, della musica, che infatti è manifestazione dello spirito. Ratzinger diceva che a volte la bellezza ci colpisce al cuore come un dardo, una freccia, che ci apre lo sguardo verso il mondo dello spirito, di Dio. Ma per noi la più grande bellezza è infine quella della santità, in cui la verità della fede si dimostra attraverso la capacità dell’amore di trasformare e innalzare la vita umana a un livello superiore di armonia e di fascino, di attrazione potente al bene. I santi, luci vivissime che illuminano e orientano il nostro cammino nelle oscurità del nostro tempo. I santi, Vangelo vissuto e vicino a noi. Essi, sì che ci aiutano ad alzare lo sguardo dall’abisso del male verso l’alto. Giustamente Salt and Light TV continua a far conoscere sempre meglio le meravigliose figure dei santi della nostra storia e del nostro tempo. Questo è comunicare per la bellezza. Aiutare a far venire alla luce dalle profondità la grande e preziosa nostalgia, troppo soffocata, di purezza e bontà.
Una volta Papa Benedetto ci ha ricordato una bella omelia di San Bonaventura, che paragona il movimento della speranza “al volo dell’uccello, che dispiega le ali nel modo più ampio possibile, e per muoverle impiega tutte le sue forze. Rende, in certo senso, tutto se stesso movimento per andare in alto e volare. Sperare è volare. Ma la speranza esige che tutte le nostre membra si facciano movimento e si proiettino verso la vera altezza del nostro essere… Chi spera ‘deve alzare il capo, rivolgendo verso l’alto i suoi pensieri, verso l’altezza della nostra esistenza, cioè verso Dio’” (S.Bonaventura, Omelia I Dom. d’Avvento; citato da Benedetto, 6.9.2009).
Cari amici di SaltandLight, possiate essere sempre comunicatori autentici e trasparenti, e mettere il vostro entusiasmo al servizio dell’unità, della verità, della bontà, della bellezza, e così aiutare le vostre sorelle e i vostri fratelli a trovare, nella speranza, il senso della loro vita. Allora forse molte persone potranno esclamare anche loro: “Benedetta televisione! Benedetta Salt and Ligh tTelevision!”.
Padre Federico Lombardi S.J.